Al centro del palco, su una panchina verde, una figura umana dorme adagiata. Gli addetti del teatro hanno da poco aperto le porte d’ingresso alla sala e i primi spettatori affluiscono lentamente. Qualcuno, con uno scatto degno d’altre corse, fulmineo, bramoso d’arte e posizioni, sorpassa chi scrive e guadagna il tragitto verso la poltrona in prima fila, ai piedi del corpo che ci accoglie. E mentre chi più veloce, e chi più lesto, trova il suo posto, la figura resta immobile tra il vociare, i colpi di tosse, il frusciare dei soprabiti.
È il nero, come quasi sempre.
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Lo sguardo di Arlecchino